12 Giugno 2025

Il Grande Gioco in Afghanistan: Una Storia di Conquiste Impossibili: 5 osservazioni

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STORIA

Il Grande Gioco in Afghanistan: Una Storia di Conquiste Impossibili: 5 osservazioni

Il Grande Gioco in Afghanistan: Una Storia di Conquiste Impossibili: Immaginate di sedervi a un tavolo da poker dove la posta in gioco non sono fiches o denaro, ma interi paesi. Benvenuti al “Grande Gioco“, signori! No, non è l’ultima trovata di Las Vegas, ma il nome in codice che nel XIX secolo definiva la rivalità tra l’Impero Britannico e l’Impero Russo per il controllo dell’Asia Centrale. E al centro di questo tavolo verde geopolitico?

Il Grande Gioco in Afghanistan: Una Storia di Conquiste Impossibili: 5 osservazioni
Di James Rattray (1818-1854) – The British Library – Online Gallery, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4163486

L’Afghanistan, un paese che sembra avere il magnetismo di una trappola per orsi, attirando superpotenze solo per poi schiacciarle come noci.

Il Grande Gioco in Afghanistan e Una Storia di Conquiste Impossibili: Il Graal Geopolitico

Il Grande Gioco in Afghanistan: Una Storia di Conquiste Impossibili: 5 osservazioni
Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6595644

Ma perché, vi chiederete, tutti volevano mettere le mani su un territorio fatto per lo più di montagne impervie e deserti inospitali? Beh, non era certo per le sue spiagge dorate o per aprirci dei resort di lusso. L’Afghanistan era – ed è ancora oggi – un crocevia strategico. Pensatelo come l’incrocio più trafficato dell’Asia, dove chi controlla il semaforo può decidere chi passa e chi resta bloccato nel traffico della storia.

Gli inglesi, da bravi padroni di casa dell’India, volevano assicurarsi che i russi non si avvicinassero troppo al loro “gioiello della corona”. I russi, d’altra parte, sognavano porti caldi dove le loro navi non rischiassero di trasformarsi in iceberg galleggianti. E in mezzo? Gli afghani, che probabilmente si chiedevano perché non potessero essere lasciati in pace a godersi le loro montagne.

Il Grande Gioco in Afghanistan: Una Storia di Conquiste Impossibili: 5 osservazioni
Di William Barnes Wollen – http://www.britishbattles.com/first-afghan-war/kabul-gandamak/last-stand.jpg, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4324548

Le Tre Guerre Anglo-Afgane: Un Trittico di Disastri

Se il “Grande Gioco” fosse stato una partita a scacchi, le Guerre Anglo-Afgane sarebbero state come muovere la regina all’inizio della partita, solo per vederla mangiata da un pedone due mosse dopo. Furono tre, queste guerre, come se gli inglesi non avessero capito la lezione la prima volta. O la seconda.

  1. Prima Guerra Anglo-Afgana (1839-1842): Gli inglesi pensarono bene di deporre l’emiro Dost Mohammed e mettere sul trono un loro fantoccio, Shah Shuja. Spoiler: non andò bene.
  2. Seconda Guerra Anglo-Afgana (1878-1880): Questa volta gli inglesi decisero che l’Afghanistan doveva diventare un loro “protettorato”. Gli afghani, prevedibilmente, non erano d’accordo.
  3. Terza Guerra Anglo-Afgana (1919): A questo punto, gli afghani erano così stufi che dichiararono guerra loro stessi all’Impero Britannico. E, sorpresa delle sorprese, vinsero!

La Prima Guerra: Un Disastro Epico

Concentriamoci sulla prima di queste guerre, un vero e proprio manuale su “come non invadere un paese”. Nel 1839, gli inglesi decisero che l’emiro Dost Mohammed era troppo amichevole con i russi. La soluzione? Invadere l’Afghanistan, ovviamente!

All’inizio sembrava facile. Gli inglesi entrarono a Kabul come se stessero facendo una passeggiata a Hyde Park. Misero sul trono Shah Shuja, il loro candidato.

Ma gli afghani avevano altri piani. Nel 1841, si ribellarono. E non fu una ribellione qualsiasi, fu come se l’intero paese si fosse trasformato in una gigantesca trappola per topi, con gli inglesi nel ruolo dei roditori sfortunati.

La ritirata da Kabul del 1842 è passata alla storia come uno dei più grandi disastri militari di tutti i tempi. Immaginate 16.000 persone che cercano di attraversare passi montani in pieno inverno, inseguiti da guerrieri afghani inferociti. È come se l’intero cast di “Game of Thrones” avesse deciso di fare una gita oltre la Barriera, ma senza draghi e con meno fortuna.

Alla fine, di quei 16.000, solo uno raggiunse la salvezza: il dottor William Brydon. Quando arrivò al forte di Jalalabad, mezzo morto e completamente congelato, gli chiesero dove fosse l’armata britannica. La sua risposta? “Io sono l’armata britannica”. Se non è una metafora della futilità della guerra, non so cosa lo sia.

Lezioni Non Apprese

Ora, si potrebbe pensare che dopo un tale disastro, gli inglesi avrebbero imparato la lezione. Ma no! Come studenti testardi che continuano a ripetere lo stesso errore in un problema di matematica, tornarono per altri due round.

La morale della storia? L’Afghanistan non è un paese che si conquista facilmente. È come cercare di afferrare il vento o di mettere in gabbia una tempesta. Molti ci hanno provato, dall’Alessandro Magno ai sovietici, fino agli americani nel XXI secolo. E tutti hanno imparato, a loro spese, che l’Afghanistan è davvero la “tomba degli imperi“.

Ma questa è solo la prima parte della nostra storia. Nei prossimi capitoli, esploreremo le avventure di spie e esploratori, le altre guerre e come l’Afghanistan sia diventato il campo di battaglia preferito delle superpotenze. Restate sintonizzati, perché il “Grande Gioco” è appena iniziato!

Spie, Esploratori e Disastri Diplomatici

Esploratori: I Turisti Estremi dell’Ottocento

Nell’era pre-Google Maps, esplorare l’Afghanistan era come giocare a “Dungeons & Dragons”, ma con il rischio concreto di non tornare vivi. Eppure, non mancavano gli avventurieri pronti a sfidare la sorte.

Henry Pottinger: Il Maestro del Travestimento

Immaginate Henry Pottinger, un giovane ufficiale britannico, che decide di attraversare l’Afghanistan travestito da mercante musulmano.

È come se James Bond decidesse di infiltrarsi in un congresso di fisici nucleari travestito da Einstein, con la differenza che Pottinger non aveva gadget high-tech, ma solo un’ottima capacità di improvvisazione

Alexander Burnes: La Spia che Venne dal Freddo (e ci Rimase)

Se Pottinger fu fortunato, Alexander Burnes lo fu decisamente meno. Conosciuto come “Bokhara Burnes” per le sue esplorazioni in Asia Centrale, era una sorta di rock star dell’esplorazione. Pensate a lui come all’Indiana Jones dell’Ottocento, ma con meno fruste e più cammelli.

Burnes fu inviato più volte in Afghanistan come “osservatore”, che nel gergo diplomatico dell’epoca significava “spia, ma facciamo finta di no”. Purtroppo per lui, gli afghani non apprezzarono molto le sue “osservazioni”. Durante la rivolta di Kabul del 1841, una folla inferocita assaltò la sua residenza. La fine di Burnes fu tragica, dimostrando che nella vita reale, a differenza dei film, l’eroe non sempre se la cava all’ultimo secondo.

La Ritirata da Kabul: Una Marcia nella Neve (Senza Neve)

Parliamo ora della famigerata ritirata da Kabul del 1842. Immaginate 16.000 persone – soldati, famiglie, servitori – che cercano di attraversare i passi montani dell’Hindu Kush in pieno inverno. È come se l’intera popolazione di una cittadina decidesse improvvisamente di fare una gita sulle Alpi, ma senza equipaggiamento, cibo o, cosa più importante, il permesso dei locali di passare.

Il risultato? Un disastro di proporzioni bibliche. Gli afghani, appostati sui passi montani, bersagliavano la colonna come in un macabro tiro al bersaglio. Il freddo, la fame e la disperazione fecero il resto.

William Brydon: L’Ultimo Uomo in Piedi

Alla fine di questa tragica odissea, solo un uomo raggiunse la salvezza: il dottor William Brydon. Quando arrivò al forte di Jalalabad, era più morto che vivo. La leggenda vuole che quando gli chiesero dove fosse l’armata britannica, lui rispose semplicemente: “Io sono l’armata britannica”.

Brydon si salvò grazie a un colpo di fortuna degno del miglior film di Hollywood. Durante l’attacco, ricevette un colpo alla testa che gli spaccò il cranio. Ma si salvò grazie… a una rivista! Sì, avete capito bene. Brydon aveva imbottito il suo cappello con una copia di Blackwood’s Magazine per proteggersi dal freddo. Quella rivista gli salvò letteralmente la vita, dimostrando che la lettura può essere davvero salutare!

Lezioni di Storia (Mai Apprese)

Cosa possiamo imparare da questi eventi? Beh, prima di tutto, che l’Afghanistan non è un paese che si conquista facilmente. È come cercare di addomesticare un gatto: potresti pensare di averlo sotto controllo, ma alla fine sarà lui a decidere se lasciarti vivere nella sua casa.

In secondo luogo, che il “Grande Gioco” era davvero un gioco pericoloso. Spie, esploratori e diplomatici rischiavano la vita in un territorio ostile, spesso per ragioni che oggi ci sembrano assurde. Era come una partita a scacchi giocata con pezzi umani, dove ogni mossa sbagliata poteva costare migliaia di vite.

Infine, che la storia tende a ripetersi. Dopo gli inglesi, vennero i sovietici, e poi gli americani. Tutti pensarono di poter fare meglio dei loro predecessori, e tutti si ritrovarono a fare i conti con la dura realtà afghana.

Ma la storia dell’Afghanistan non finisce qui. Nel prossimo capitolo, esploreremo le conseguenze di queste guerre e come l’Afghanistan sia diventato il campo di battaglia preferito delle superpotenze nel XX e XXI secolo. Restate sintonizzati, perché il “Grande Gioco” non è ancora finito!

Dal XIX Secolo ai Giorni Nostri

La Seconda Guerra Anglo-Afghana: Il Sequel che Nessuno Voleva

Dopo il disastro della prima guerra, si potrebbe pensare che gli inglesi avessero imparato la lezione. Ma no! Come un regista ostinato che insiste nel fare il seguito di un film flop, nel 1878 gli inglesi decisero di dare il via alla Seconda Guerra Anglo-Afghana.

Il casus belli questa volta? L’emiro Sher Ali aveva osato ricevere un’ambasciata russa a Kabul, ma si era rifiutato di accogliere una delegazione britannica. Era come se il vostro vicino invitasse a cena i suoi amici, ma rifiutasse il vostro invito per un barbecue. Ovviamente, l’unica risposta ragionevole era… invadere!

Questa volta gli inglesi furono più “furbi”. Invece di cercare di governare direttamente l’Afghanistan, decisero di farne un protettorato. In pratica, era come dire agli afghani: “Potete fare quello che volete, basta che ci chiediate il permesso per tutto”. Come potete immaginare, gli afghani erano entusiasti di questa proposta.

La Terza Guerra Anglo-Afghana: Il Tris Non è Mai Completo

Arriviamo così al 1919, l’anno della Terza Guerra Anglo-Afghana. A questo punto, gli afghani erano così stufi che decisero di prendere l’iniziativa. Fu l’emiro Amanullah Khan a dichiarare guerra all’Impero Britannico, in quello che possiamo definire come il più audace “tieni il mio chai” della storia.

Sorprendentemente (o forse no), gli afghani vinsero! Beh, tecnicamente fu un pareggio, ma per l’Afghanistan equivaleva a una vittoria. Il risultato? L’indipendenza afghana. Finalmente, dopo quasi un secolo, il “Grande Gioco” in Afghanistan sembrava essere finito.

L’Afghanistan nel XX Secolo: Dalla Padella alla Brace

Con l’indipendenza, l’Afghanistan entrò nel XX secolo con grandi speranze. Il re Amanullah Khan aveva grandi piani per modernizzare il paese. Voleva trasformare l’Afghanistan in una versione centro-asiatica della Turchia di Atatürk. Immaginate di passare da un sistema feudale a Instagram nel giro di una notte: questo era più o meno il piano di Amanullah.

Purtroppo, come spesso accade quando si cerca di cambiare troppo in fretta, le cose non andarono come previsto. Amanullah fu deposto nel 1929, dimostrando che in Afghanistan, il cambiamento è benvenuto solo se avviene alla velocità di un ghiacciaio dell’Hindu Kush.

La Guerra Fredda

Pensavate che la storia fosse finita? Oh no, siamo solo all’intervallo! Con l’arrivo della Guerra Fredda, l’Afghanistan divenne nuovamente il campo da gioco preferito delle superpotenze. Questa volta, i giocatori erano gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.

Nel 1979, i sovietici decisero di invadere l’Afghanistan. Era come se avessero detto: “Ehi, gli inglesi ci hanno provato tre volte e hanno fallito. Sicuramente noi faremo meglio!”. Spoiler: non fu così.

Gli Stati Uniti, non volendo essere da meno, decisero di sostenere i mujaheddin afghani contro i sovietici. Fu come armare un gruppo di gatti selvatici sperando che attaccassero solo il cane del vicino. Come potete immaginare, la cosa non finì bene.

Il XXI Secolo: Tutto Cambia perché Nulla Cambi

E così arriviamo ai giorni nostri. Dopo l’11 settembre, gli Stati Uniti decisero che era il loro turno di provare a “pacificare” l’Afghanistan. Era come se avessero guardato tutta la storia che abbiamo raccontato e avessero pensato: “Sì, ma noi siamo speciali. Sicuramente andrà diversamente per noi”.

Vent’anni dopo, nel 2021, gli americani si sono ritirati dall’Afghanistan in una scena che ricordava stranamente la ritirata britannica del 1842. La storia, come si suol dire, non si ripete, ma fa rima.

Conclusioni: Le Lezioni Mai Apprese

Cosa possiamo imparare da questa epica saga afghana?

  1. L’Afghanistan è indomabile: Come disse una volta un saggio (o forse era solo un tassista di Kabul particolarmente cinico), “L’Afghanistan è facile da entrare, ma impossibile da lasciare”.
  2. La geografia è destino: L’Afghanistan, con la sua posizione strategica, sembra destinato a essere al centro dei giochi di potere globali. È come essere l’unico bar aperto in un raggio di 100 km: tutti prima o poi ci finiranno.
  3. La storia si ripete: Sembra che ogni generazione debba imparare a proprie spese che invadere l’Afghanistan è una cattiva idea. È come se ci fosse un corso di “Disastri Afghani 101” che ogni superpotenza deve seguire.
  4. La resilienza afghana: Nonostante secoli di invasioni, guerre e conflitti, la cultura e l’identità afghana sono sopravvissute. È come un cactus nel deserto: può sembrare duro e spinoso, ma ha una capacità incredibile di sopravvivere nelle condizioni più difficili.

La storia dell’Afghanistan ci insegna che la geopolitica è un gioco pericoloso, dove spesso non ci sono vincitori, ma solo gradi diversi di sconfitta. Ci ricorda anche l’importanza di comprendere la storia e la cultura di un luogo prima di pensare di poterlo cambiare.

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